Quando il signore, noto anche come dio, si accorse che ad adamo ed eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c’era nessun altro nel giardino dell’eden cui poter dare la responsabilità di quella mancanza gravissima, quando gli altri animali, tuti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti cinguettii, fischi e schiamazzi, godeva già di voce propria. In un accesso d’ira, sorprendendte in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l’altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua. Dagli scritti a caso gli avvenimenti di queste epoche remote, vuoi di possibile certificazione canonica o futura o frutto d’immaginazioni apocrife e irremidiabilmente eretiche, non si chiarifica il dubbio su che lingua sarà stata , se il muscolo flessibile e umido che si muove e rimuove nel cavo orale e a volte anche fuori, o la parola, detta anche idioma, di cui il signore si era deprecabilmente dimenticato e che ignoriamo quale fosse, dato che non ne è rimasta la minima traccia, neppure un semplice inciso sulla corteccia di un albero con una leggenda sentimentale, qualcosa tipo ti amo, eva.
Caino, José Saramago
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