Quando ero giovane – e non è passato poi così tanto tempo da allora – investivo gran parte del mio tempo nell’incastrare impegni.
Mi costringevo in continuazione a trovare quei cinque minuti necessari per rispondere a una mail, per contattare quella persona, per prendere un caffè al volo con un’amica o preparare quel preventivo.
Vivevo con l’orologio in mano e il piede premuto sull’acceleratore.
In macchina facevo un sacco di cose. Molte anche mentre guidavo. Sperando che tra i lettori non ci siano carabinieri, posso ammettere di aver mangiato, di essermi legata le scarpe, di aver dettato appunti al cellulare. Tutto mentre guidavo.
Con l’obiettivo di risparmiare tempo.
La brutta notizia è che non esistono, o quasi, attività che richiedono cinque minuti.
E che, spesso, fare molte cose in contemporanea non solo non permette di farle sufficientemente bene, ma consuma energia. Molta più energia di quanta ce ne vorrebbe facendone una per volta.
Tra l’altro, io ho una caratteristica: mi fondo con la cosa che sto facendo. E questo va in contrasto con l’essere multitasking.
Se mi parli, ti ascolto.
Per cui, i cinque minuti preventivati diventavano mezze ore o ore intere, con il risultato di trovarmi sempre a rincorrere qualcosa.
Ho pochissima memoria del passato. Confondo le date, gli eventi. Nei ricordi, sovrappongo gli anni. Addirittura, non so se certe cose sono capitate a me o se ne ho sentito parlare da qualcun altro. Ho sempre corso troppo per permettere ai ricordi di posizionarsi nel modo corretto.
(E man mano che gli anni passano, più mi accorgo che la vita non consiste nella aspettativa del futuro né nel ricordo del passato, ma in quella sottile striscia di presente che permette di ricordare il passato e desiderare il futuro).
Ma le parole, quelle le ricordo tutte.
Perché su ogni parola ho riflettuto a lungo. Anche se quell’attenzione non mi ha permesso di accorgermi della strada che stavo percorrendo.
Non voglio dover scegliere tra dare attenzione a me stessa o a chi mi sta parlando. Voglio solo andare più piano.
Oggi, i miei figli mi prendono in giro perché guido troppo lentamente. Sostengono che li faccio sempre arrivare in ritardo. Dicono che sono una lumaca e confondono il saper guidare con il pigiare sull’acceleratore.
Io li guardo nello specchietto retrovisore e sorrido.
Non sanno quanto ho corso e quanto, invece, sia bello vivere con lentezza.
Oggi non incastro più impegni e non ottimizzo i tempi. Se ho cinque minuti, li utilizzo per guardare il paesaggio o per ascoltare le mie emozioni.
Oggi mi arrabbio di più, rido di più, mi commuovo di più.
E non ho affatto la sensazione di sprecare il tempo ma, finalmente, di averlo ritrovato.
14 Comments
Proprio così, con la calma si fanno le cose meglio ma soprattutto si apprezzano di più.
Esatto. Tanto vale correre per non arrivare da nessuna parte.
La mia esperienza è molto simile alla tua. Per molti anni ho lavorato in un ufficio aeroportuale dove gli impiegati sembravano scimmiette da circo, con la cornetta all’orecchio mentre parlavano alla radio e compilavano documenti. A volte tornavo a casa senza essere riuscita ad andare in bagno! Il bello è che questa follia, per quanto faticosa, mi faceva sentire orgogliosa delle mie capacità, tanto che me la portavo dietro a casa. Della maggior parte delle incombenze quotidiane mi importava poco, perciò perché non incastrarle, anzi, sovrapporle in modo produttivo? Non so quando mi sono accorta che questo significava non vivere quasi niente delle mie giornate, a parte pochi stralci scelti, che proprio perché scelti finivano con il deludere le aspettative. Probabilmente sono state le tante letture sulla meditazione e sull’attenzione a cambiarmi poco a poco, insieme all’età che porta i suoi doni. Adesso cerco di fare una cosa per volta, e quando mi sento a disagio rallento ulteriormente per onorare i dettagli. E’ un’ altra vita.
Entrare in un’ottica diversa è piuttosto difficile, anche perché tutto attorno sembra andare in una altra direzione. Però quando esci dall’ingranaggio sembra impossibile esserci stato dentro. Come dici tu, è un’altra vita.
Il tempo in questa società sembra far dannare. Si deve fare tutto veloce, concentrato, bene alla prima e soprattutto in contemporanea. Poi però si passa il resto del tempo a criticarne il risultato. Cattive abitudini legate alla fretta. C’era un detto: la gatta frettolosa fa i gattini ciechi. Credo riassuma alla perfezione. Comunque io la mania di incastrare gli impegni non riesco a perderla, la mia testa è sempre un passo avanti alle mie mani… Anche se con l’età ci provo a dedicare la mia attenzione in maniera selettiva, solo ogni tanto ci riesco. Mi sa che devo crescere ancora un po’.
Pensa che quando ero più giovane mi chiamavano proprio “la gatta furiosa” (che qui da me vuol dire frettolosa). Ah, come si cambia!
Purtroppo siamo sempre alla ricerca di tempo che non abbiamo. Desideriamo giornate di 48 ore e allo stesso tempo sacramentiamo per ché non riusciamo mai a tirare il fiato. Forse anche per questo siamo sempre più orientati verso una buona coniugazione tra lavoro e passioni personali: il parossismo della massimizzazione temporale.
Far diventare la propria passione un lavoro può essere bello, a condizione di saper gestire il lavoro e non farsi travolgere. Non è facile neanche quello.
È importante rallentare, il tempo è prezioso e va vissuto respirando lentamente, meglio guardare un panorama…
Chissà perché, spesso, ci accorgiamo di quanto il tempo sia prezioso quando non ce l’abbiamo più.
Il mio percorso di crescita personale ha seguito questo passaggio. Vivevo da ragazzina con un’agenda in testa che prevedeva ora per ora il da farsi. Sono impazzita quasi subito, ma pur cambiando impostazione ho continuato a correre. Come dici tu, ti perdi il paesaggio. E le cose non vengono mai mai come vorresti. La calma interiore è una risorsa che ho scoperto tardivamente ma che ora proteggo con tutte le mie forze
Chissà, forse è un percorso che si incomincia a intraprendere solo a una certa età. Da giovanissimi (perché giovani lo siamo ancora, eh eh) forse è normale vivere a cento all’ora. Che l’età almeno ci porti saggezza. 😉
Temo che la definizione di incastrare gli impegni sia soggettiva, quanto quella del multitasking. Il primo multitasking informatico era solo “simbolico”, dato che il processore era solo uno e quindi comunque elaborava in sequenza. Sembrava multitasking perché chi poi preparava i dati in ingresso e smistava i dati in uscita era lento, e il processore se ne stava per buona parte con le braccia conserte a sbuffare. Per sfruttarlo di più, hanno messo più omini a gestire i dati, e quindi sembrava che il processore facesse più cose in contemporanea. (adesso il vero multitasking ce l’abbiamo perché abbiamo più processori, ma è un’altra storia)
Sono multitasking? Secondo la vecchia definizione si: mentre stiro, ascolto la televisione; mentre cucino e devo solo mescolare solo ogni tanto, posso leggere; mentre attendo una telefonata, leggo le mail; mentre guido… no, guido e basta, e su questo sono inflessibile. C’è gente che ha perso la testa solo per cambiare stazione radio (letteralmente, conosco un pompiere che ha raccolto una testa mozzata dal guard rail…). Se suona il cellulare e non ho gli auricolari o il vivavoce, aspettano al prossimo varco.
Incastro gli impegni? Si e no. Nel senso che nella mia agenda gli impegni sono incastrati, ma con un range che non mi fa tirare pacchi alla gente, considerando anche che lavoro più che full-time. Mentre persone che in teoria sono più libere di me, i pacchi me li tirano eccome. Appuntamenti fissati una settimana prima, disdetti un’ora prima perché “non ricordavo che ho altro”.
Del resto, se non incastrassi per bene gli impegni, indovina qual è l’attività che verrebbe gioco forza sacrificata?? 🙁
Certamente è una definizione soggettiva. E non è neanche detto che incastrare impegni sia sbagliato tout-court. Anche perché la teoria deve poi convivere con la vita reale. E non è che al capo puoi dire che oggi non hai intenzione di incastrare un lavoro dentro altre cose da fare. In punto, secondo me, è quando diventa uno stile di vita. E per me lo era, anche nel tempo libero, anche quando non era necessario. Col fatto poi che non mi accorgevo più di nulla che mi interessasse davvero.