Di solito lettura e scrittura sono attività individuali.
Nel nostro immaginario, il lettore siede in poltrona in silenzio, il libro in una mano, nell’altra – a piacimento – una pipa, una penna, una tazza di tè. In biblioteca, su di una panchina o a casa propria, chi legge lo fa da solo.
Esistono gruppi di lettura dove ci si confronta, si approfondiscono i temi e si condividono le emozioni, ma, tuttavia, prevedono un momento di lettura autonomo e individuale a cui seguirà solo in un secondo momento il dibattito.
Discorso analogo vale per chi scrive perché, a maggior ragione, la scrittura richiede silenzio, concentrazione.
romanzi a quattro mani
Eppure esistono casi eccellenti di coppie di scrittori: Fruttero e Lucentini, per esempio, tra gli italiani o Ellery Queen, pseudonimo sotto il quale si celavano Frederick Dannay e Manfred B. Lee, autori della celebre serie poliziesca il cui protagonista prende il nome del loro stesso pseudonimo.
Nel caso dei due scrittori italiani, lavorarono in coppia per una cinquantina d’anni condividendo non solo la scrittura di romanzi, ma collaborarono a progetti giornalistici come a traduzioni. Condivisero persino la direzione della collana Urania della Mondadori, incarico affidato in un primo momento e Fruttero e poi allargato a Lucentini, dal 1961 al 1986.
Pur essendo due grandi scrittori, non ebbero timore di mostrare le difficoltà che incontravano lavorando in due, soprattutto per un diverso modo di impostare la stesura dei romanzi: uno tendente a pianificare a tavolino, l’altro desideroso di ricevere sorprese dalla trama in via di svolgimento:
“Ansioso cronico e perciò bisognoso di pianificazioni assolute, Lucentini pretendeva di “metter giù” un pre-romanzo pre-definitivo in una rapida ma efficace pre-scrittura. Io gli rispondevo con la frase napoleonica: “On s’engage et puis on voit”. L’idea di seguire e anzi tracopiare una traccia dettagliatissima mi annoiava, volevo lungo la strada un minimo di sorprese. Lucentini, acceso amante dell’arte, ribatteva che tutti i grandi e meno grandi maestri avevano lavorato su disegni preparatori, esistevano intere collezioni di studi su una mano, un ginocchio di cavallo, un ricciolo. Io dicevo: “E poi come passiamo alla vera pittura, alla vera Cappella Sistina?”. Lui abbassava gli occhi mentre io lo accusavo di nutrire sotto sotto la peccaminosa speranza che quella chimerica pre-scrittura si rivelasse alla fine così buona da non richiedere altri passaggi. “Sei schizofrenico”, dicevo, “vuoi scrivere sul serio fingendo di scrivere per prova”. “Schizofrenico sarai tu, che vuoi scrivere fingendo di non sapere dove stai andando”. “Ma se no, io non mi diverto e il lettore se ne accorgerebbe subito”. “Il divertimento” sentenziava lui, duro,”è escluso comunque”.
Ma non era vero. Una mezza pagina venuta bene dopo averne appallottolate con rabbia undici diverse versioni e dopo che io beninteso l’avessi approvata, gli allargava smisuratamente il sorriso. “Bravo! Quel taschino di quella camicetta è proprio riuscito”, mi rallegravo. E aggiungevo incautamente: “E per di più, senza niente dentro è praticamente invisibile”. Lui si rannuvolava. “Già, ma allora perché nominarlo, descriverlo? A cosa serve nell’economia del personaggio e di tutto il romanzo?”. Cominciavamo mollemente e poi via via più accanitamente a discutere: le donne non mettono mai niente nei taschini delle loro camicette, è un fatto universalmente noto. Ma potrebbero: per distrazione, per fretta, per comodità momentanea, infilarci accendino, rossetto, biro, biglietto del tram, billet doux, anello, pettine, limetta per le unghie e così di seguito in una serie infinita di possibilità lungo il canale del Loing”.
Fruttero & Lucentini, I ferri del mestiere. Manuale involontario di scrittura con esercizi svolti, Torino, 2003.
Senza dubbio questo tipo di collaborazione somma le già notevoli difficoltà personali nella pianificazione di un’opera a quelle di comprensione e condivisione con il punto di vista dell’altro. Tuttavia nel momento in cui l’intesa funziona, a mio parere, il testo non può che trarne notevole vantaggio sia sotto forma di accresciute competenze, sia sotto il profilo dell’entusiasmo.
Quando si lavora in due ci si sostiene, si ci sprona, ci si completa.
Rimarrebbe da chiedersi come funzionasse tecnicamente la collaborazione dei due scrittori, ovvero chi scrivesse che cosa. Se alternassero brani scritti da ciascuno di loro o se scrivessero ogni parte in coppia.
E ancora, verrebbe da domandarsi se scrittori di coppia ci si nasce o se con l’esercizio. l’esperienza e il talento lo si può diventare.
raccolte di racconti
Esiste almeno un’altra forma di scrittura collettiva, appena meno rara ma altrettanto particolare: la raccolta di racconti di autori vari.
Generalmente per raccolta di racconti intendiamo una serie di scritti di uno stesso autore raggruppata sotto uno stesso titolo. Tuttavia esistono anche casi in cui i racconti siano stati scritti da diversi autori.
Nel 1996, per esempio, venne pubblicata da Einaudi Stile Libero la raccolta Gioventù Cannibale a cura di Daniele Brolli. Tra gli autori comparivano Niccolò Ammanniti, Daniele Luttazzi, Aldo Nove. Si trattava di un’antologia dell’orrore estremo che, a detta di Luttazzi, per certi versi anticipò di drammi che di lì a poco si sarebbero consumati nel nostro Paese: da Omar e Erika al serial killer ligure etc. etc.
Nel 2003, su iniziativa della Giunta regionale dell’Emilia Romagna, fu pubblicata la raccolta Dal grande al fiume al mare, che riunì in quest’opera trenta dei più importanti scrittori della regione. In questa raccolta gli autori contribuirono con inediti inerenti all”identità regionale, analizzata a partire da una multiformità di approcci, di provenienze geografiche, di scelte e stili letterari.[Tra gli autori Carlo Lucarelli, Massimo Valerio Manfredi, Loriano Macchiavelli, etc. etc.
In questi due esempio, quindi, il senso della collaborazione risiede nel primo caso nel tema e nella conseguente possibilità di offrire diverse chiavi di lettura e, nel secondo caso, ad una appartenenza condivisa.
Un altro punto a favore della raccolta di racconti di autori diversi può essere la finalità. Proprio in questi giorni è nata sotto la regia di Serena Bianca De Matteis la raccolta Buck e il Terremoto, con l’obbiettivo di raccogliere fondi per la ricostruzione di Amatrice e Accumoli. Si tratta di 18 racconti a quattrozampe, con protagonisti gli animali intesi come elemento di speranza e sollievo per l’uomo durante le grandi e piccole difficoltà quotidiane.
Per chi se lo fosse perso, gli consiglio un giro sul sito o sulla pagina FB: con un piccolo investimento avrete unìopera di assoluto valore e offrirete un gesti di solidarietà.
rapporti tra scrittori: accountability partner e lettore beta
Per certi versi la collaborazione tra scrittori può essere efficace anche quando non si scrive a quattro mani e non si pubblica assieme.
Ce lo raccontarono proprio qui, nei commenti alla mia intervista a Serena Bianca De Matteis, Serena e Marco Amato.
Serena propose a Marco di utilizzare una pratica americana secondo la quale due scrittori fissano gli obiettivi di stesura del proprio romanzo e ogni giorno controllano reciprocamente il numero di parole scritte, incitandosi e “sgridandosi” a vicenda.
Da quell’obbiettivo comune ne uscì appunto il romanzo di Serena, Buck di cui abbiamo parlato ampiamente nell’intervista.
Per certi versi anche la figura del lettore beta assolve ad una funzione simile, sebbene il rapporto non sia tra scrittore e scrittore ma piuttosto tra scrittore e lettore.
Lettore, però, che non risulta passivo, ma diventa fondamentale attraverso le proprie domande, i propri suggerimenti oltre che con il sostegno e l’incitamento allo scrittore stesso.
E voi che cosa ne pensate della scrittura collettiva? Avete mai avuto occasione di dedicarvi ad essa? Ne conoscete altre forme?
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In copertina il quadro di M.C. Escher Mani che si disegnano.
44 Comments
Ellery Queen del mio cuore.
Allora, ho scritto un romanzo a 4 mani, la base era mia, direi un romanzo finito che poi abbiamo rimesso a posto insieme: non lo rifarei, ma io sono un’individualista e comunque il romanzo non ha mai trovato un editore e abbiamo avuto un po’ di problemi su cosa farne. Alla fine il partner disse: “ok puoi pubblicarlo se trovi (dopo aver pubblicato altri romanzi miei) ma devi togliere tutte le parti scritte da me” e io manco ricordavo quali fossero.
Alla fine le mie storie voglio coccolarmele da sola, nel mio cantuccio, quando sono pronta le affido a lettori beta (una) e/o a editor professionisti, nulla di più.
Quindi nel tuo caso il romanzo c’era già e l’avevi scritto ti, ho capito bene? Te lo chiedo perché mi interessa proprio la dinamica di come tecnicamente ci si possa accordare in un lavoro a quattro mani.
Sì, l’abbiamo tagliato e ricomposto rimpolpandolo con pezzi dell’altro autore.
Ho capito, grazie! 🙂
Wu Ming?
Di Wu Ming so poco per cui non mi esprimo. Io ho sempre immaginato che abbinassero testi scritti in collaborazione con altri scritti singolarmente pubblicati sotto il nome di Wu Ming 1, Wu Ming 2, Wu Ming 4.
Ma vedo che Massimiliano ti ha risposto più ampiamente. 🙂
Grande collettivo quello dei Wu Ming, ma non scrivono insieme, usano la stessa firma.
Ah. Ma, allora, quando Wikipedia dice: “L’armata dei sonnambuli è un romanzo del collettivo di scrittori italiani Wu Ming” cosa intende, di preciso? Chi l’ha scritto? Perché le produzioni soliste portano i nomi di Wu Ming 1, 2, ecc., se non ho capito male.
Domando perché li conosco solo per nome; non ho mai approfondito né letto nulla.
I Wu Ming nascono da una costola del collettivo Luther Blisset, erano studenti appartenenti a un certo tipo di sinistra che si occupavano di contro informazione o disinformazione che dir si voglia. Ognuno di loro scrive e pubblica ma la firma è la stessa (wu Ming 1, 2, 3, 4 ecc…, talvolta presentano autori e li presentano sotto la loro egida come ad esempio in “Asce di guerra” di Vitaliano Ravagli ( che mi permetto di consigliarti, personalmete vi ho trovato delle similitudini con alcune mie scelte fatte in gioventù). Nei primi anni ’90 salirono alla ribalta per una beffa fatta alla Mondadori presentando loro un manoscritto”fuffa”. Troverai molto in rete, ma ti consiglio questo video: https://youtu.be/2gdN1crIsUs Intervista rilasciata a un gruppo di studentelli e quindi assolutamente sincera e a cuore aperto.
Sai che ti dico Silvia? A me piacerebbe, così per gioco, scrivere un romanzo a quattro mani, dove due dei principali protagonisti vengono tratteggiati da persone diverse e il resto di comune accordo. Mi piacerebbe tentare almeno una volta, un modo come un altro per mettersi alla prova.
Anch’io.
Prima o poi lo trovo con chi scrivere assieme. 😉
Informazione pubblicitaria 😀
Massimiliano, sul nostro forum abbiamo un’area apposita per la scrittura collettiva, magari puoi provare a proporre un progetto lì 😉
Credo che sarebbe un’esperienza molto interessante. Non so però se io me la sentirei in questo momento: forse avrei bisogno di sviluppare meglio il mio stile e di sentirmi “forte” della mia narrativa. Credo che poi sarebbe importante trovare qualcuno con cui ci sia molto affiatamento per fare un lavoro del genere. 🙂
Per me sarebbe un incentivo lavorare con una persona organizzata e precisa che mi sprona a fare sempre del mio meglio, che mi pone obiettivi e mi da scadenze, ma non so se il mio contrario a luilei comporterebbe problemi. Io credo che sia molto complicato lavorare a quattro mani, a meno che non si tratti di portare avanti due personaggi con due punti di vista diversi sulla medesima storia accordata in anticipo, allora potrebbe essere davvero curioso e strategico. Molto interessante, magari l’affiatamento si trova per strada.
Sì, l’idea di portare avanti due personaggi paralleli offrendo diversi punti di vista potrebbe avere il suo senso.
Per altro l’incentivo lo si può trovare anche facendo come hanno fatto Marco e Serena pur non scrivendo lo stesso romanzo, sebbene anche in questo caso penso che ci voglia un buon affiatamento. 🙂
Sveva Casati Modigliani.
Marito e moglie.
Personalmente non conosco altre forme di collaborazione oltre a quelle che hai già citato.
Mi è venuta in mente la forma dell’intervista, dove i due autori si propongono in veste di intervistatore e intervistato e dove i capitoli si alternano: un capitolo è una lunga domanda (con tutte le varie sfaccetature e citazioni del caso); il capitolo successivo è la lunga risposta dello studioso intervistato. Un chiaro esempio sono alcuni libri di Augias scritti con biblisti e teologi. Ma questa non è narrativa.
Io ho sperimentato forme beta: cioè ho avuto lettori-beta e sono stato lettore-beta.
Ma scritture a quattro mani non ne ho mai fatte e credo di non essere adatto perché, a parte le idee portanti, tendo a improvvisare molto e ad avere tempi incostanti. Insomma: non so se un coautore mi sopporterebbe.
Però trovo molto stuzzicante l’idea di Massimiliano: base comune e personaggi a carico dell’uno o dell’altro autore… 😀
Pensa Darius, l’affiatamento a questo punto diventerebbe ininfluente, anzi la visione dei singoli personaggi è slegata dalla visione dell’altro, che bell’esperimento che sarebbe, magari pubblicato sotto pseudonimo. Sarebbe curioso scoprire cosa ne pensano i lettori trovandosi di fronte a un autore che, pensandolo unico, appare schizofrenico nel suo narrare.
Se non fosse che ho due racconti già aperti da mesi (e che vorrei chiudere in breve), quasi quasi ci penserei seriamente. 😀
Ma di che genere letterario stiamo parlando? O vogliamo già pensare allo pseudonimo?? 😀
😀 Ooh il genere poco importa, sono sicuro che siamo in grado di spaziare.
Se vuoi leggere un esperimento del genere (e sprecare qualche ora del tuo tempo) potresti scaricare dal mio blog l’iperromanzo: scrittura a 4 mani, costruita per essere non lineare. Insieme al testo c’è anche tutta una parte teorica, che mostra l’organizzazione del lavoro che abbiamo fatto alla base.
Michele, anche gli esercizi che proponi tu sul tuo blog sono scrittura collettiva. No?
Eccome se vado a vedere, sono curioso come una scimmia 😀 . Grazie Michele.
Due scimmie. Andrò a vedere anch’io. 😀
Sì. hai ragione la forma dell’intervista è un’altro tipo di scrittura collettiva, per certi versi, proprio perché il risultato dipende tanto dalla bravura di chi pone le domande, tanto da quella di chi risponde. Un po’ come la spalla con il protagonista.
Anch’io sono troppo indisciplinata per lavorare con qualcun’altro. Però più ci penso, più l’idea mi piace. 🙂
Ho un amico, a Caltanissetta, che scrive poesie, è molto colto ed è un lettore sopraffino. Una volta mi ha detto di avere in cantiere un progetto nel quale intendeva coinvolgermi: scrivere con lui e un’altra persona un romanzo. Ho apprezzato che abbia fatto a me la proposta, ma non so se l’idea mi affascini davvero, anzi più no che sì: non so nulla della terza autrice, ma io e lui abbiamo stili completamente diversi, gusti opposti, come potremmo affrontare una scrittura comune? Lui dice che verrebbe fuori qualcosa di sconvolgente, io gli rispondo che finiremmo per sconvolgere il pubblico, giocandoci l’unica possibilità di sembrare credibili. 😀
Giuseppe?? 😀
Ecco, la differenza di stile è un altro punto delicato. Certo, potrebbe essere una ricchezza, però bisognerebbe anche capire come organizzare il materiale perché, come ben dici tu, non si rischi di perdere la propria credibilità. Io, a questo proposito, non ne ho la più pallida idea. 🙂
A meno di considerare tale certi giochi collettivi che sono appunto solo dei divertimenti, per me la scrittura è un atto troppo intimo per poterla condividere facilmente. Potrei farlo soltanto con una persona davvero in sintonia con me, e sarebbe un rapporto che probabilmente trascenderebbe il semplice atto dello scrivere. Per ora non ho prove della possibile esistenza di questo tipo di rapporto nel mio universo 🙂
Detto ciò, gli esempi che tu citi dimostrano che non solo è possibile, ma produce anche ottimi risultati. Ognuno interpreta lo scrivere a suo modo, e quindi gli strumenti di viaggio possono essere diversi 🙂
Discorso differente per le raccolte di racconti (e se qualche audace una volta proponesse una raccolta di romanzi? 😀 ), in quel caso l’atto di scrivere è sempre individuale, e si condivide la tematica o il semplice risultato 🙂
Così a memoria (ma io ho la memoria labile e ovviamente un sapere limitato) non mi vengono in mente raccolte di romanzi di autori diversi.
Diciamo che normalmente sono raggruppati in collane, vista la dimensione. Però se fossero romanzi brevi e avessero un filo conduttore, in effetti, perché no?
L’ultimo libro di Fedez, Faq, a domanda rispondo, preso con sufficienza nel blog di Marina Guarneri è un esempio di scrittura collettiva. «È una social biography – così è detto nell’introduzione – un nuovo modo di raccontare le vicende professionali di una star. È stata creata, grazie al progetto eFanswear, una piattaforma social-editoriale che permette agli utenti di interagire con le star ponendo loro direttamente le domande che li incuriosiscono». Chissà se gli scrittori star dell’editoria rispondono direttamente alle domande dei loro lettori o lasciano il privilegio solo ai piccoli scrittori come noi…
Ciao Helgaldo e benvenuto sul mio blog.
Non conoscevo il libro di Fedez, se non per aver letto anch’io il post di Marina (prima proprio non sapevo neanche che Fedez avesse scritto un libro 😛 )
Dopo il tuo commento mi sono informata e direi che hai perfettamente ragione. Del resto questo testo potrebbe essere visto come una forma di intervista (Darius commentando qui aggiunge proprio l’intervista), ma con una caratteristica in più: non intervista tra intervistatore e intervistato, ma intervista collettiva.
Spunto molto interessante il tuo, grazie. 🙂
Grazie, Helgaldo.
Non conoscevo questa forma di scrittura collettiva.
La trovo interattiva e risponde alle esigenze del pubblico,
No, non ho preso con sufficienza il romanzo di Fedez, ma solo per quello che è: un libro che non mi piacerebbe leggere. 😉
Tempo fa era uscito 20lines dove si poteva continuare un racconto iniziato da altri utenti. Non so se funzioni ancora però.
Sì, me lo ricordo. Avevo visitato il sito (forse mi ci ero pure iscritta) ma non ho mai partecipato. 🙂
Mi informo, Grilloz. Mi stuzzica l’idea. Io sono per il mettersi sempre in gioco, sperimentare.
Lo trovo costruttivo scrivere con altre persone.
Chiaro che dipenda cosa.
Un romanzo può essere scritto al massimo da due persona. Già sarebbe tanto trovare una sintonia con qualcuno così grande da intraprendere un viaggio quale quello di un libro.
Per piccoli racconti va bene anche il gruppo.
Ma chi lo dice che la scrittura può essere solo solitaria?
Sai quanti ragazzi s’appassionerebbero se scrivessero cOme un gioco di gruppo?
E troviamo idee per le nuove leve di scrittori.
Noi ci sappiamo difendere.
I giovani vanno incentivati.
Ops… tempo fa avevo scritto e postato qualcosa in merito sulla scrittura a quattro anni. 🙂
Rispondo alla domanda.
Sì.
Secondo me, sì. La scrittura può essere un’attività collettiva.
Vedi con le antologie, oppure un Social biografy ( che non conoscevo), ma si potrebbe espandere in altri modi.
Anche l’esempio di Grilloz rende l’idea.
Se vuoi ti invio l’articoletto in privato su quello che avevo pensato in merito alla scrittura a quattro mani.
Grazie, Tiziana. Ricevuto. Lo leggo volentieri! 🙂
Grazie a te.
Poi dimmi cosa ne pensi dei pro e i contro che ho messo sulla scrittura a quattro mani. 😉
Scrittura collettiva no, mai sperimentata. Non ce n’è stata occasione ma temo sarebbe un disastro organizzarla, con gli orari strampalati che mi ritrovo. O dovremmo farla in differita, e si allungano i tempi. Al massimo arrivo al beta-lettore che mi suggerisce su quale azione vedrebbe successivamente, ma è più una discussione dove lui/lei fa le domande incuriosito e io mi sblocco cercando di darvi risposta.
Come esempio di scrittura collettiva avevo pensato a Gramellini/Gamberale in Avrò cura di te, ma poi ho letto un estratto e in realtà ognuno ha interpretato un personaggio. Non c’è “fusione” nella loro collaborazione.
(Ma ma ma e le notifiche?? C’è bisogno che ti presto il mozzo a controllare i motori? 😉 )
Beh, in fondo anche il beta ha la sua funzione in una forma di scrittura collettiva.
Io credo che la scrittura collettiva intesa proprio come a quattro mani possa nascere non solo da una grande intesa con qualcuno, ma anche per una specifica esigenza.
Non potrei mai deciderlo a tavolino, dovrebbe presentarsi l’occasione. Allora, solo in quel caso, sarebbero superabili i problemi pratici.
(sto impazzendo a sistemare le notifiche, non capisco proprio da dove venga in problema. Passerò a mailchimp, mi sa…)