Confesso di essere un po’ emozionata nello scrivere questo post. Sono arrivata al dubbio numero 10 e, se ancora non ho abbandonato la stesura del mio romanzo, se non mi sono arresa di fronte ai miei dubbi, molto lo devo a voi perché vuol dire che un bel po’ di strada assieme l’abbiamo fatta.
L’argomento di oggi nasce da una frase, attribuita a Daniel Kalla, che mi è capitato di leggere su thrillercafe.it mentre facevo ricerche sul thriller. Dice:
Alla fine, è il protagonista a fare la differenza. Non è lo stile, e neanche la trama. Può essere una trama brillante, ma se i personaggi non sono reali e non ci si può relazionare con loro, alla fine il lettore non sarà coinvolto. Credo che il cavallo vincente siano i buoni personaggi.
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Immedesimarsi in un personaggio
Io sono una lettrice che casca come una pera in una storia. E fino ad un certo punto non me ne dispiaccio. In fondo la finalità della narrativa è quella di intrattenere e, se su di me ha questo potere immaginifico, ben venga per me e per chi ha scritto.
Mille e mille volte mi è capitato di immedesimarmi in un personaggio. E di vivere le vicende di questi personaggi come se fossero accadute a me. Sono stata nell’Iran di Hosseini, nel Cile dell’Allende, nella prima e seconda guerra mondiale di Ken Follett, nella Napoli post bellica della Ferrante, nell’America di Stephen King e di McCarthy, così come in quella razzista di Harper Lee. Sono stata più o meno in tutti e cinque i continenti, un po’ in tutte le epoche. E ho vissuto storie belle e tristi, frutto della fantasia dei loro autori, che mi hanno aperto mondi reali di cui sapevo quel poco appreso sui libri di storia.
Mi chiedo però quanto l’attrattiva della trama sia da attribuire alla storia o non piuttosto alla forza dei personaggi stessi.[su_spacer]
Quali sono i “buoni personaggi”?
Daniel Kalla dice che il cavallo vincente sono i buoni personaggi. Ma quali sono i buoni personaggi, come si definiscono tali e soprattutto come si creano? Esistono poi ruoli da protagonisti e da comprimari: non è forse vero che una buona spalla spesso è fondamentale per avere un buon protagonista? Cosa ne sarebbe di Sherlock Holmes senza Watson o di Frodo Baggins senza Sam Grangee o di Tom Sawyer senza Huckleberry Finn?
Difficile darsi una risposta, anche se mi pare di poter osservare alcuni elementi fondamentali in un buon personaggio:
- Carisma
Credo che un buon personaggio debba essere un personaggio carismatico. Sia in positivo sia in negativo. Tanto più se si tratta di un protagonista. Non solo perché deve avere la forza di trascinare la storia, ma anche perché deve permettere al lettore di immedesimarsi, sebbene poi il lettore possa anche non amarlo o non apprezzarlo;
- Caratterizzazione a tutto tondo
Per non appiattirsi su cliché, un personaggio dovrebbe offrire sfaccettature e complessità. Nella vita reale, per quanto tendiamo ad etichettare le persone, non esistono le belle bionde oche o le brutte intelligentone (tanto per dirne due), esistono persone che si avvicinano o meno a determinati modelli, ma che in sé hanno personalità variegate. Anche per i personaggi bisognerebbe fare uno sforzo (cosa non sempre facile, essendo immersi nella società della semplificazione) di uscire da schemi predefiniti andando a scavare nella profondità di un personaggio;
- Verosimiglianza
Come abbiamo già detto in altri post, la realtà spesso supera la fantasia, ma la fantasia deve essere ben giustificata per non essere paradossale. A meno che l’essere paradossale sia un obiettivo del romanzo, ma in quel caso ci troveremmo i generi particolari, ogni esagerazione dovrebbe essere contenuta o giustificata.
Un personaggio per essere in grado di attrarre il lettore deve essere credibile, magari fuori dagli schemi, ma comunque verosimile;
- Originalità
Questo è un punto che si aggancia a quelli precedenti ed è un po’ il riassunto di essi: un personaggio carismatico, ben caratterizzato e verosimile dovrebbe portare con sé anche una certa originalità per non correre il rischio di essere il clone di qualche lettura che ci è rimasta nella memoria;
- Attinenza con il proprio ruolo
Dicevamo, la spalla. Oppure il protagonista. Fuori da certi generi che impongono caratteristiche ben precise ad un certo ruolo (per esempio la fedeltà del comprimario), rimane comunque la necessità di creare personaggi credibili e non stereotipati in relazione anche al ruolo che essi stessi svolgono. L’equilibrio tra i ruoli e i personaggi dovrebbe contribuire a creare una buona trama.[su_spacer]
Quanto potere hanno i personaggi?
In un bel dialogo con Sandra nei commenti ad un mio post, è saltato fuori il tema dell’autonomia dei personaggi rispetto a chi li crea. Sandra dice che i personaggi non sono burattini (e come darle torto?) bensì pupazzi caricati a molla, capaci di andare avanti con le loro gambe. La trovo un’ottima definizione a cui vorrei aggiungere l’importanza della forza della molla.
Più la molla con cui gli abbiamo caricati è forte, più andranno lontano e in direzioni diverse. E il potere che assumeranno sarà una specie di calamita che porterà il lettore nella storia e darà senso alla storia stessa. [su_spacer]
Possiamo quindi dare ragione a Daniel Kalla? Per voi quanto potere hanno i vostri personaggi?
22 Comments
Ho studiato molto a lungo i miei personaggi, specialmente quelli principali (che sono quattro) e questo mi ha portato a conoscerli a fondo e a rappresentarli piuttosto bene, o almeno spero. Tuttavia, avevo l’impressione che al loro carattere mancasse qualche sfumatura, così ho fatto una cosa strana, ma strana davvero, talmente strana che mi vergogno a scriverla… ma ha funzionato! E va beh, lo dico: dopo aver scelto una data di nascita, ho fatto il loro tema natale: non immagini quanti spunti siano venuti fuori! 😀
Io non la trovo proprio strana per niente 😛 anzi, mi pare un’ottima idea 😉
Secondo me è un’ottima idea, anche perché rientra nel tue competenze e, di conseguenza, diventa una personale strategia nella costruzione dei tuoi personaggi. Non te ne devi vergognare, anzi, credo che dovresti andarne fiera. Vorrei avere io competenze adatte a costruire i miei personaggi! 😉
Il punto è che rischi di essere un po’ dispersiva, però mi è stato molto utile, se non altro perché viene fuori una personalità coerente. In un caso, il tema natale non rispecchiava le caratteristiche del personaggio e ho cambiato data di nascita. Tra l’altro non escludo di menzionare questi aspetti nel romanzo. 🙂
Secondo me scegliere di utilizzare un quadro di riferimento è un’ottima mossa, che aiuta a costruire personaggi a tutto tondo. Gli dà per così dire una tridimensionalità. 🙂
Pensa che Huckleberry Finn è stato una spalla così forte da diventare protagonista 😉
Beh, cosa non deve mancare a un buon personaggio?
Oltre alle cose che hai citato tu aggiungerei:
– un passato, poi a seconda del tipo di storia questo passato può nascondere qualcosa di oscuro o essere limpido, ma nel suo passato sicuramente ci sarà ciò che lo ha portato ad essere quello che è adesso. Oltre tutto dargli un passato lo rende più realistico.
– deve essere fallibile, deve poter essere sconfitto, questo lo rende più interessante perchè il lettore non saprà mai fino alla fine se ce la farà o no.
– deve poter cedere alle tentazioni del lato oscuro (questo si ricollega un po’ ai punti da te citati). Quando il male non è solo il nemico ma potrebbe diventare una forza attrattiva, magari un male a fin di bene, il personaggio diventa molto più interessante. Pensa a quanto è più affascinante Batman rispetto a Superman, per il quale hanno dovuto inventare la criptonite 😉
Questa è una stupidata talmente gigante che non lo correggo neanche, a memoria della mia storditaggine primaverile (va beh, concedimi una scusa, almeno!) 😛
Al passato non avevo pensato ed in effetti ti do ragione sul fatto che contribuisce a costruire una tridimensionalità al personaggio. L’essere fallibile e il cedere alle tentazioni del lato oscuro li vedo come due facce della stessa medaglia, cosa che spiega meglio ed in modo più esaustivo quello che intendevo dicendo che il personaggio deve avere una caratterizzazione a tutto tondo.
No, no, nessun errore, Huckleberry Finn è la spalla di Tom Sawyer nelle avventure di Tom Sawyer e poi diventa protagonista del romanzo successivo, le avventure di Huckleberry Finn 😉 insomma al buon vecchio Mark la spalla è riuscita così bene che nel romanzo successivo l’ha promossa.
Sì, diciamo due facce della stessa medaglia, l’una però è l’essere sconfitti da forze esterne e l’altra dall’essere sconfitti da forze interne.
Quanto alla mancanza del passato dei personaggi ho notato che è un difetto (non lo considero errore, ma solo una piccola mancanza) degli scrittori alle prime armi.
Ricordo di avere letto le avventure di Huckeleberry Finn da bambina. Ma il mio ricordo più vivo è condizionato dalla televisione. Pensa che proprio qualche giorno fa sono stata il libreria perché volevo regalarlo a mio figlio per Pasqua invece che l’uovo, ma non l’ho trovato. A questo punto li ordino entrambi su amazon. 🙂
Interessante la tua distinzione tra forze esterne e interne.
Io invece avevo letto le avventure di Tom Sawyer da ragazzo, divertentissimo, credo che Huckleberry Finn sia un po’ più profondo, ma devo recuperarlo. Penso che si trovino anche in volume unico 😉 (però che non li abbiano in libreria è grave… dove andremo a finire? :P)
P.S. mi tocca fare l’editor-ing, lo so che mi odiate, ma Hosseini è afgano 😛
Hai ragione è afgano, oggi non ci prendo proprio!! 😛
😉
E nessuno si è accorto che è Samvise Gamgee, detto Sam, e non “Grangee” 😛
Che pignoli! (più che altro, stavo pensando se non c’era un altro personaggio con nome simile, data l’enormità de Il Signore degli anelli)
Ho collezionato più scemenze in un solo post che in tutto il blog :P. Giuro che quel giorno non avevo bevuto!
Wow grazie per la citazione. Sì, i personaggi davvero fanno la storia e il pericolo maggiore che l’autore corre è quello di farne macchiette, capita ed è irritante poi per il lettore. Credibilità, verosimiglianza, possibilità di immedesimarsi anche magari se i luoghi delle azioni sono a migliaia di km di distanza dove non adremo mai. L’amore per i miei personaggi, per alcuni di essi in particolare è profondo, mi hanno fatto banalmente una grande compagnia, anche in momenti bruttissimi della mia vita. Mi garba citare una frase di Fabio Genovesi: dei tuoi personaggi devi conoscere addirittura il gusto preferito del gelato, anche se poi per il romanzo non ti servirà. Sono d’accordo. Alla serata scrittura e stress ci è stato detto che è NORMALISSIMO andare a bere un aperitivo con i propri personaggi, questo lo dico proprio per rassicurare me stessa circa la mia normalità, diventa un passaporto per la psichiatria se pensiamo che il personaggio ci abbia avvelenato. Tornando alla nostra molla, sì la carica deve essere bella forte, per consentire lunghi giri, anche se poi all’autore toccherà corrergli dietro (uno dei protagonisti del romanzo che sto scrivendo è inglese, ora in Italia per lavoro, e chi l’avrebbe mai detto che non sarebbe più tornato nel suo paese? Di certo non io, ma ora pare orientato verso questa scelta!) Un caro saluto.
Sai che ogni tanto guardo i miei figli parlare con i loro amici immaginari (soprattutto Francesco, che è più piccolo, ha quasi 6 anni, mentre Leonardo ne ha 9) e mi dico: Cavoli, loro fanno con gli amici immaginari quello che io faccio con i miei personaggi! (Anche da questa considerazione è nato il mio post sui giochi, che credo siano il primissimo elemento che indirizza la nostra creatività verso le varie forme artistiche).
Per cui sì, è verissimo quello che dici. Non c’è niente di strano a percepirli come reali, anche perché solo se lo sono nella nostra testa lo possono diventare anche nella finzione, benché liberi di prendere la loro strada.
“…è NORMALISSIMO andare a bere un aperitivo con i propri personaggi” bene, mi tranquillizzo, che quando sono in fase scrittura del libro (non dei racconti) i personaggi me li ritrovo in auto a scrocco tutte le mattine! 😛
Fatti almeno rimborsare la benzina! 😀
Concordo sui tratti che deve avere un personaggio per essere efficace. Quelli che proponi (e che condivido) li riassumerei in una parola sola: credibile. Penso che un personaggio protagonista, per essere ben riuscito, debba essere soprattutto una sorta di alter ego dello stesso scrittore. Almeno, questo è quello che capita spontaneamente a me. Il potere che lo caratterizza (sia verso la storia, sia verso il lettore, sia verso l’autore stesso) trovo che sia direttamente proporzionale al grado di immedesimazione.
Sai, una volta mi piaceva pensare una cosa: io come Silvia penso che non agirei come i miei protagonisti, ma se mi trovassi in determinate circostanze, avendo alle spalle determinate vicende e avendo le caratteristiche dei miei personaggi, allora probabilmente agirei come immagino che agiscano loro. E’ un concetto abbastanza semplice, ma in un certo senso corrisponde a quello che tu chiami alter ego e che corrisponda all’importanza che dai all’immedesimazione. 🙂
Giusto per dirti il grado di immedesimazione che vorrei perseguire: diverse volte ho pensato di fare alcuni post sul mio retroblog in cui il mio personaggio mi intervista come se vivesse davvero di vita propria… 😀